Anatocismo e usura bancaria

E’ notizia oramai sulle prime pagine di tutti i quotidiani che le banche, al di là delle ormai tristemente note vicende legate al crac di talune di esse, operino al di fuori di quanto previsto dalle leggi oggi in vigore, quantomeno sotto alcuni profili. Infatti gli Istituti Bancari spesso hanno fatto stipulare ai cittadini contratti in violazione di alcune leggi, anche penalmente sanzionate, senza che il “controllore” Banca d’Italia intervenisse svolgendo i suoi compiti di controllo e garanzia del credito e, soprattutto, dei cittadini-consumatori.

Ciò ha causato e continua a causare ingenti danni economici ai clienti -aziende e privati- che spesso si vedono costretti a sopportare anche le ulteriori implicazioni negative derivanti, a puro titolo esemplificativo, dalle ingiuste segnalazioni alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

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Alcuni di questi contratti “capestro” o problematiche nei rapporti con gli Istituti di Credito, nei quali sono incappati molti consumatori, sono i seguenti:

  • ANATOCISMO

L’anatocismo è quel fenomeno bancario nel quale la produzione di interessi, che viene anche definita capitalizzazione, viene generata da altri interessi, resi produttivi sebbene scaduti o non pagati, su un determinato capitale. Nella prassi bancaria questi interessi vengono definiti composti. Gli esempi più diffusi di anatocismo sono il calcolo dell’interesse attivo su un conto di deposito, oppure il calcolo dell’interesse passivo che viene generato su un mutuo.

Tale prassi è stata dichiarata illegittima, in una norma contenuta Codice Civile, addirittura fin dal 1942, ed i suoi effetti sono da considerarsi nulli ed improduttivi per violazione delle leggi. L’illegittimità della citata prassi è stata confermata anche dalla c.d. Legge antiusura n.108 del 1996 e dalla Legge 28 Febbraio 2001, n. 24, che ha dato una “interpretazione autentica” alla legge precedente.

Nonostante la tutela apportata dal articolo 1283 C.c., che subordina l’anatocismo alla compresenza di alcuni presupposti espressamente definiti, nella prassi bancaria italiana degli ultimi sessant’anni questa pratica ha trovato applicazione pressoché generalizzata. A partire dal 1999 anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione si è pronunziata, sancendo, con una giurisprudenza oramai costante, la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, estendendo i principi enunciati inizialmente con riferimento al conto corrente bancario anche ai contratti di mutuo.

  • USURA

Prima dell’intervento del legislatore, che ha introdotto parametri oggettivi di calcolo, l’usura era determinata esclusivamente mediante parametri soggettivi, essendo intesa nella pratica meramente come tutela di casi estremi, spesso legati al prestito di denaro da parte di personaggi legati con la malavita e che venivano sanzionati dai giudici penali con l’applicazione dell’art. 644 del Codice Penale denominato “Usura”, che punisce con una pena da 2 a 10 anni chiunque si fa dare in corrispettivo del denaro degli interessi usurari.

Oggi il tasso di interesse massimo, denominato “tasso soglia”, oltre al quale un prestito viene definito usurario, è stabilito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con cadenza trimestrale. In questo modo, la Banca Centrale stabilisce i valori minimo e massimo entro i quali variano i tassi di interesse.

La Legge n. 108 del 7 Marzo 1996 ha riformato l’art. 644 del Codice Penale sancendo, all’art. 2, anche la nullità delle clausole nelle quali sono convenuti interessi usurai e rendendo nullo l’intero contratto. La nullità è estesa con provvedimento non impugnabile del presidente del Tribunale anche a tutte le ipoteche poste su beni a garanzia di titolo di credito ed ai protesti elevati dall’usuraio.

Dal punto di vista giuridico anatocismo e usura sono illeciti sostanzialmente diversi: l’anatocismo è un illecito civile, privo di risvolti penali, mentre l’usura è vietata ed è pesantemente sanzionata dal Codice Penale. Sono tuttavia entrambi dei modi studiati per ottenere una remunerazione dei capitali prestati, il primo con l’applicazione di interessi minori su una base più larga pari al debito residuo e alle quote interessi già pagate, la seconda con l’applicazione diretta di interessi esorbitanti.

  • MUTUO FITTIZIO

Quella di richiedere al cliente di contrarre un mutuo ipotecario al fine di ripianare la propria posizione debitoria è una pratica che le banche tendono a utilizzare frequentemente per consolidare il credito nei confronti del cliente e assicurarsi una garanzia reale rappresentata dall’ipoteca iscritta sugli immobili di sua proprietà.

Si tratta di una pratica scorretta in quanto l’oggetto del mutuo è rappresentato dal denaro. Ciò comporta che le somme non vengano effettivamente accreditate, ma vadano a compensare il debito precedente. Ne deriva così un vizio del contratto che può arrivare a renderlo nullo per mancanza di oggetto. Tale principio è stato sancito da alcune sentenze che hanno dichiarato nulli i contratti di mutuo fondiario erogati per ripianare esposizioni debitorie (risultate, di fatto, inesistenti) e ribadito dalla sentenza n. 14270 della Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione del 28 Giugno 2011.

Infine, è importante sottolineare che, se formalmente il mutuo è stato concesso per un preciso scopo (ad esempio ristrutturazione di immobili, acquisto di macchinari ecc.) il cliente deve necessariamente ottenere la disponibilità delle somma mutuata: se ciò –come spesso accade– non avviene, perché la banca trattiene le somme a compensazione dell’esposizione debitoria del cliente, il vizio del contratto è del tutto evidente e contestabile.

  • STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI

Nel settore finanziario, vengono denominati strumenti derivati, o anche, semplicemente derivati, tutte le tipologie di contratti o titoli il cui importo è fondato sul prezzo di mercato di uno o più beni diversi come possono essere, per esempio, azioni, valute, indici finanziari o tassi d’interesse.

Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono principalmente tre: la copertura di un rischio finanziario, anche denominata “hedging”, l’arbitraggio, ossia l’acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato e la speculazione.

Le variabili sulle quali si fondano le quotazioni dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere origini tra le più diverse: può trattarsi di azioni, di obbligazioni, indici finanziari, di commodity come il petrolio o anche di un altro derivato, ma esistono pure prodotti finanziari derivati basati sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o sulle precipitazioni in genere.

I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati finanziari e soprattutto in mercati paralleli rispetto ai centri borsistici ufficiali, quindi in mercati alternativi ed esterni alle borse vere e proprie, meglio definiti come OTC, cioè Over The Counter, che si verifica in mercati creati da istituzioni finanziarie e da professionisti tramite reti telematiche e che, di solito, non sono regolamentati.

Per quanto diversi tra loro, tutti i derivati hanno un unico comune denominatore, non sono null’altro che scommesse i cui rischi vengono fatti ricadere sui clienti-consumatori ignari degli altissimi rischi a cui vanno incontro e ritenendo, perché non informati correttamente, di aver fatto un semplice investimento, quasi si tratti di acquistare un BOT di sicuro rendimento e praticamente privo di rischio!

Il comune denominatore dei citati contratti, erogati quasi sempre dagli Istituti Bancari è la violazione di alcune leggi a tutela del cittadino, ma spesso anche delle aziende e la mancanza assoluta di informazione del consumatore finale.